UNA STORIA QUALUNQUE (QUELLA DI MARIO VECCHI)
Dietro il banco di un Bar, servendo caffé e aperitivi, scoprì il fascino dello sport che lo avrebbe portato alla maglia Azzurra
In un giorno del mese della Vergine del 1957 venne alla luce Mario Vecchi nella cittadina di Rieti. Nessuno sapeva che sarebbe diventato un campione di Judo, ma tutti erano felici lo stesso. La vita nella cittadina laziale si fece un po' difficile cosicché il padre un bel giorno decise di trasferirsi a Roma. Prese armi e bagagli e si portò nel quartiere romano di San Giovanni. Mario nel frattempo cresceva gagliardo e robusto senza molta voglia però dei libri scolastici, cosicché il padre pensò bene di iniziarlo al duplice esercizio "mens sana in corpore sano", facendolo studiare la mattina e mandandolo a lavorare il pomeriggio presso un bar.
Fu così tra una tazzina ed un aperitivo che Mario scoprì il Judo udendolo dagli avventori del bar che frequentavano la palestra accanto. L'interesse crebbe fino a che ricevette l'invito dal Presidente del sodalizio sportivo Panichelli a praticare in palestra; si era nel 1972. Nella Fiamma Yamato furoreggiavano all'epoca i Di Palma ed i Gaggero.
Il Maestro Matsushita parlava poco e picchiava tanto. Il neofita fu attratto dal Judo come una falena dalla luce, cosicché i lavori divennero tre : scuola, bar e palestra.
Dopo un anno di attesa, venne la prova tanto attesa, la prima gara nazionale, il Trofeo Esordienti ad Arezzo. Vittoria! Poi nel 1974 la gara di Coppa Italia. La sconfitta non era di casa da Vecchi. Intanto il padre sfornava cappelletti e pasta all'uovo dal suo negozio, il figlio cresceva e con esso l'insaziabile appetito, poi stava nascendo un campione e doveva essere ben nutrito. Mamma Vecchi nel frattempo si vedeva il suo pupo crescere e se lo coccolava, dimenticando che il suo bambolotto stazzava già 85 chilogrammi. L'arma migliore del ragazzo è l'uchimata: bello, schioccante, limpido, perentorio, veramente un pezzo di bravura. Ma molte lacune s'annidavano nel bagaglio tecnico del giovane allievo della Fiamma Yamato.
La lotta a terra ad esempio era la sua bestia nera e questa non mancò di morderlo, facendogli perdere il suo primo incontro ufficiale.
Il 1974 segna l'inizio dell'entrata in Nazionale del Mario di San Giovanni; il debutto è dei migliori: si piazza secondo dopo tre magnifici ippon. Le gare nazionali cominciano a svolgersi come una collana; i risultato non vengono, purtuttavia, ogni tanto, compare l'acuto che ben fa sperare, i tecnici hanno fiducia e gliela accordano.
Nel 1975 entra nel college dei probabili olimpici. La vita si fa dura, gli allenamenti sono esasperanti e stressanti. Una serie di brillanti risultati nelle cinque pre-olimpiche lo portano alla scelta per la grande avventura di Montreal.
Nel frattempo entra in Finanza e conquista due medaglie ai Campionati Mondiali Militari. L'amore fa capolino: si chiama Antonella che tra un minuetto e una piroetta classica intravede Mario sul tatami e se ne innamora.
Ora Mario è un P.O., sono passate le Olimpiadi e grazie alla sua giovane età hanno rappresentato solo una tappa al grande appuntamento di Mosca. Gli amici lo chiamano campione, i suoi tifosi sono aumentati, oltre alla famiglia e naturalmente Antonella, c'è anche il padrone di casa che quando Mario vince, si precipita all'aeroporto per festeggiarlo. Chissà se ritornando da Mosca con una medaglia non gli trovi una casa dove costruire il suo nido, in carattere giapponese, s'intende.
Ma i lati patetici della storia di Mario non si fermano qui. Dovete sapere che Mario ha una cugina che per il futuro sportivo del ragazzo, legge e predice e fino ad ora, a sentire gli amici, non ne ha sbagliata una. Ma allora perché Vecchi non ci ha detto di escluderlo da quelle gare in cui la cugina gli aveva predetto l'insuccesso? Sai il risparmio!
In questa vita semplice e felice Mario ha un dispiacere: un giorno i soliti ignoti sono entrati a casa e gli hanno portato via oltre a tante cose anche le medaglie conquistate. Di una ha il rimpianto più forte: la medaglia dorata (non d'oro) della Coppa Italia, la sua prima gara nazionale. Chissà se c'è qualcuno che ci legge che possa ridargliela?
Finisce qui una storia qualunque di una persona qualunque che vuole domani essere qualcuno con lo sport che ama.
Rivista "Judo Italiano" della FILPJ - Luglio-Agosto 1977.
A firma di Silvano Addamiani